Durata: h 1.40
Nazionalità: USA 2001
Genere: fantascienza
Marte, 2176 d.c. - Il pianeta rosso, da tempo abitato dai terrestri, è stato selezionato quale soluzione alla saturazione della Terra. 640.000 coloni vivono e lavorano in avamposti ed insediamenti disseminati sul pianeta, sfruttandone le risorse. Nel corso di un'operazione di scavo, viene casualmente effettuata una scoperta che avrà ripercussioni letali. Gli scavi portano alla luce tracce di una civiltà sepolta da secoli, risvegliando involontariamente i suoi guerrieri.
Nel 1982
La Cosa aveva affrontato e definito con piena responsabilità (il film all'uscita è stato uno dei più clamorosi flop commerciali di John Carpenter) l'horror più viscerale ed estremo, assorbendo, sintetizzando e sputando fuori attraverso le sue mutazioni gli umori e le tendenze più moderne del genere, senza tradire lo stile di regia raffinato e robusto del regista americano. La Cosa era un'operazione, gettando uno sguardo a posteriori, folle e determinata, il punto a capo in un momento storico preciso per il cinema e per la società. Era un soverchiante urlo di rabbia roca e cieca che aveva trovato nel genere horror il veicolo più spettacolare, ficcante, preciso. Venti anni dopo è l'ora di fare di nuovo il punto sul genere, ma stavolta non si tratta più dell'horror, né della fantascienza; a dire il vero si tratta de "il genere": il b-movie. Con le sue ristrettezze di budget, il suo libero accesso alla più sfrenata messa in scena exploitation, i suoi personaggi dalla sincera anima ultracoatta, la sua colonna sonora apocalittica che da sola è uno spettacolo a se, Fantasmi da Marte si candida istantaneamente al titolo di "greatest b-movie ever told".
C'è morte su Marte?
Fino a (relativamente) poco tempo fa, Marte era la patria del Posticcio Misterioso. Terra sconosciuta nello spazio, il pianeta rosso era la frontiera estrema dell'avventura, l'unico pianeta "vicino" che potevamo illuderci ancora (poco) ragionevolmente essere abitato da forme di vita più o meno senzienti. Ma Marte è un enorme deserto, e l'idea della vita aliena non può essere che qualcosa di finto, costruito, più vicino alla "Cheepnis" di Frank Zappa e alla sci-fi classica dei Bug-Eyed Monsters che al realismo della carne viva e deforme degli alieni moderni. La vita su Marte era di cartone. Ora che il mito è caduto, che abbiamo visto il mistero da vicino e nessuno è venuto ad accoglierci, né a minacciarci, sappiamo che Marte è vuoto. John Carpenter ride sotto i baffi e precisa la mira: di certo non non ci sono vivi sul pianeta. Però ci sono i fantasmi. Come in un cimitero indiano su cui è stato costruito un paese, un luogo sacro quale è effettivamente il set del film, antico insediamento del Pueblo Zia nel New Mexico. I vivi di Marte non li abbiamo mai visti, ma la loro eco si fa strada nella carne dei coloni terrestri che ne hanno occupato la terra natìa.
Per un dollaro di Marte
Ma nonostante tutta questa disillusione nei confronti di quel Marte immaginario, la cornice in cui aleggiano i fantasmi mantiene lo stesso fascino della sci-fi "cheesy" di un tempo: i treni che hanno l'aspetto di modellini anche quando è evidente che hanno dimensioni naturali, il villaggio western-marziano, ricostruito in una cava di Albuquerque, che sembra un set da studio, la generale voluta rozzezza ed essenzialità dei pochi set in cui si svolge la vicenda. E' una poetica (già sondata in modo molto interessante dal DePalma del ben più costoso
Donne amazzoni su Marte
La squadra che si trova a fronteggiare questi mostri (in)umani è un gruppo che è insieme la sintesi e la parodia dei manipoli carpenteriani: mercenari e soldati disillusi e pronti a tutto, capeggiati da una donna. Come estremo sberleffo allo smaccato machismo di un Kurt Russel, o di un Roddy Piper o alla paradossale figura "filo-extraterrestre" della Holly Thompson di
I guerrieri della notte di Marte