LA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE


LA RIVOLUZIONE RUSSA.
Anni or sono, gli interventi dell' uomo di Stato, Sergio Romano, hanno riaperto la questione dei totalitarismi del ‘900, che, a seconda dell’orientamento degli storici e del momento in cui le opere dei suddetti vedevano la luce, furono variamente analizzati e valutati.

IL giudizio di Romano, per molti versi può dirsi condivisibile: l’unico vero grande totalitarismo europeo fu quello praticato in Unione Sovietica, almeno a partire da una certa data, vale a dire, più o meno, dalla fine della guerra civile.

Per quanto diabolicamente inserito nella vita quotidiana del popolo germanico, il nazismo non ebbe mai le definitive caratteristiche di ‘stato etico estremo’ di cui parla con cognizione di causa Sergio Romano; e la famigerata operazione nacht und nebel, con cui si facevano scomparire gli oppositori del regime, nascondendone financo i luoghi di sepoltura, produceva un terrore che era, comunque, diverso da quello che suscitava la possibilità di passare per pazzi, in quanto non d’accordo con il vangelo del PCUS.

Se il nazismo fu un terrificante fenomeno di ‘reductio ad unum’, in cui un intero popolo si identificò con le ossessioni psicotiche del proprio capo, e se il fascismo fu una sorta di prolungamento con varianti dei vecchi privilegi dell’Italia liberale, con spiccate tendenze neofeudali, solo il comunismo sovietico fu assolutamente e definitivamente totalitario.

Innanzi tutto, i bolscevichi giunsero al potere minoritari e con un atto rivoluzionario affine ad un colpo di stato.

In un paese che non possedesse i caratteri di arretratezza politica e sociale della Russia di Nicola II, difficilmente si sarebbe affermata una linea d’azione come quella dei Soviet leninisti, che si trovarono nella necessità di dare ad un popolo per la grandissima maggioranza estraneo al dibattito politico, anzi, alla pura e semplice coscienza sociale del proprio status, un impianto ideologico.

Questo impianto, peraltro, veniva di lontano, ed affondava le proprie radici nel pensiero giacobino francese, che, miscelandosi nel corso del XIX secolo con le dottrine sociali positiviste e marxiste, aveva dato origine, da un lato, ad un riformismo con spiccate caratteristiche socialdemocratiche, che ben si adattava alla situazione di precoce urbanizzazione, industrializzazione e, per conseguenza presa di coscienza di classe, ma anche di dialettica parlamentare, dei settori produttivi dell’Europa occidentale, ma, dall’altro, aveva esasperato la matrice rivoluzionaria dei "duri e puri", che, dopo il congresso di Erfurt, del 1893, videro proprio in Lenin il loro faro.

Insomma, l’ideologia marxista-leninista era troppo articolata e complessa per essere largamente condivisa da una sterminata massa di oppressi, composta perloppiù da muzik analfabeti: l’unica soluzione era quella di conquistare il potere con un atto di forza ed imporre alle masse il proprio credo, né più né meno di come lo zar aveva imposto l’idea della sua unzione divina.

Di fatto, perciò, si affermava l’idea di uno stato etico assoluto, in cui i rappresentanti del popolo (i Soviet) decidevano, al di sopra del popolo, ciò che rappresentasse il bene del popolo stesso: è chiaro che, per reggersi, un simile impianto ideologico, che, come si vede, non distava molto dall’idea illuminista del tous pour le peuple mais rien avec le peuple , doveva affermare l’idea che chi non desiderasse il bene supremo, ossia chi divergesse dalle posizioni della dirigenza, fosse, per necessità, incapace di intendere e di volere.

Questo, al fine di semplificare all’osso il meccanismo di base che permise l’affermarsi del totalitarismo comunista.

Chiariamo subito che, in questa sede, non si vogliono dare valutazioni di merito; o, peggio, ancora, stabilire una classifica dell’orrore: qualunque dittatura è orrenda e qualunque omicidio è un crimine spaventoso; tuttavia, se si vuole comprendere storicamente la rivoluzione d’ottobre, appare necessaria una premessa, diciamo così, ideologica, oltre che storica, che permetta di comprendere perché a San Pietroburgo ebbe successo ciò che, per esempio, a Berlino, nel 1919, fallì miseramente.

A questo si deve, naturalmente, aggiungere la spaventosa condizione in cui si erano trovate le immense masse contadine russe durante la disastrosa esperienza della Grande Guerra: quelli che partivano per il fronte (abbandonando la terra a se stessa, e le proprie famiglie alla più nera indigenza) venivano mandati allo sbaraglio, senza alcun criterio di risparmio delle vite umane e, spesso, armati di picche, poiché mancavano i fucili.

Lo zar Nicola II era solito dire che la sola cosa che abbondasse nel suo esercito era la carne umana: questa carne veniva gettata al massacro senza nessuno scrupolo; e non fu secondario, nell’affermarsi del bolscevismo, l’elemento antibellico.

Infatti, i bolscevichi avevano indicato come priorità assoluta, all’indomani della rivoluzione del febbraio 1917, la cessazione delle ostilità, cui era invece ostile il primo ministro socialrivoluzionario Kerenskij: se altri messaggi potevano risultare troppo complicati per i muzik in divisa dell’esercito zarista, questo, viceversa, era chiarissimo e di sicuro successo.

Si aggiunga a ciò il fatto che, proprio nelle trincee della Bucovina o della Masuria, si erano, per la prima volta, trovati insieme contadini ed operai, vale a dire due ceti che, pur avendo problemi simili, non erano mai entrati in contatto l’uno con l’altro: qui cominciò a diffondersi una primitiva coscienza di classe anche nei muzik (molti di loro, qualche anno più tardi, pagheranno duramente i propri miglioramenti sociali (da muzik a kulak), subendo un vero e proprio genocidio di classe.

Per la verità, l’idea della guerra come levatrice delle rivoluzioni è connaturata nel pensiero comunista: solo nel caso della Russia del 1917, però, questo meccanismo si mostrò efficace; in altri casi, come in Germania, con la rivolta spartachista, o in Italia nel 1945, prevalse il buon senso popolare, che evitò soluzioni drammaticamente laceranti.

Non è un caso il fatto che proprio la Germania, abbia inviato alla Russia il boccone avvelenato di Lenin, spedito in un vagone piombato in patria, all’immediato indomani dell’abdicazione dello zar (15 marzo 1917): i tedeschi avevano capito benissimo con chi avevano a che fare.

Ma veniamo ai fatti.

Dopo l’assassinio dello zar Alessandro II, ucciso nel 1881 dai terroristi nichilisti, il figlio, Alessandro III non esitò (e da un punto di vista umano, forse, era comprensibile) a cancellare i timidi tentativi di riforma messi in atto dal padre.

Anche se la Russia era precipitata di nuovo nell’assolutismo da un punto di vista politico, da quello economico tentava, tuttavia, di colmare l’enorme gap che la divideva dall’Europa occidentale: in questo periodo si affiancavano iniziative industriali di notevolissime dimensioni (antesignane dei tetri ‘kombinat’ comunisti) a pogrom terribili contro gli ebrei e a fervidi appelli alla "grande madre Russia".

Lo sviluppo industriale ebbe un grosso impulso soprattutto sotto il regno di Nicola II, che salì al trono nel 1894; del pari, le condizioni di vita dei muzik, che erano già miserabili, peggiorarono ancora.

In clandestinità, intanto, cresceva il partito socialista (diviso tra rivoluzionari e democratici, e, in seguito, in democratici menscevichi e bolscevichi), che avanzava soprattutto tra i ceti medi.

Le forti tensioni già manifestatesi in grosse agitazioni, soprattutto nelle campagne, esplosero nel 1905, grazie al detonatore poderoso della batosta subita contro il Giappone nella guerra russo-giapponese, che aveva messo in luce tutta la debolezza delle armi zariste: degli operai di San Pietroburgo volevano presentare allo zar una petizione e stavano pacificamente manifestando, quando furono attaccati dalle truppe zariste che li dispersero sanguinosamente.

Questo episodio (9 gennaio 1905), noto come la "domenica di sangue", secondo un’antonomasia che avrebbe avuto parecchio successo anche in seguito (sunday bloody sunday si presta, infatti, ad una duplice traduzione), causò una vera e propria insurrezione popolare, che rapidamente incendiò tutta la Russia, fino ad assumere i caratteri di una vera rivoluzione.

Appartengono a questi moti l’episodio dell’insurrezione dei marinai del Potëmkin e la prima comparsa ufficiale dei ‘Soviet’, consigli spontanei dei lavoratori, nati a San Pietroburgo e di lì diffusisi nel resto del Paese.

I Soviet ebbero vita effimera (ma si sarebbero rifatti più avanti), mentre Nicola II, pressato dalle circostanze, trasformò la Russia in una monarchia costituzionale di tipo ottocentesco, creando un’assemblea legislativa (la Duma), eletta a suffragio universale.

Alle prime elezioni libere (aprile 1906) stravinse il partito liberale Kà.Dè. ( ribattezzato "Kadét" cioè "cadetto"), che, però si vide togliere la sedia di sotto il sedere, visto che lo Zar sciolse l’assemblea ed indisse nuove elezioni (luglio 1906): altra vittoria liberale ed altro scioglimento; finchè, nel 1907, non venne eletta una Duma ad alta percentuale aristocratica, docile alla volontà dell’autocrate.

Stessa storia per l’ultima Duma eletta con questo sistema, che si insediò nel 1912.

Lo Zar ed il suo entourage parevano beatamente ignari del botto che si stava preparando; l'unico che mostrò di aver capito la necessità di allentare un po’ la pressione sui contadini fu il primo ministro Stolypin.

Non si pensi a Stolypin come ad un illuminato riformatore: egli non aveva alcuna velleità umanitaria e mirava solo a limitare il malcontento nelle campagne; non fu, perciò, un riformista convinto, ma un attento e machiavellico difensore dell’ordine costituito.

Stolypin voleva che nelle campagne maturasse un consenso per lo Zar e cercava di modernizzare un’agricoltura che dall’abolizione della servitù della gleba (sotto Alessandro II) aveva ricevuto più danni che vantaggi; introdusse però misure di controllo spietate, sotto forma di tribunali militari di campagna, che seminarono il terrore tra i contadini.

Fu Stolypin ad incentivare la piccola proprietà terriera, allo scopo di legare i piccoli proprietari alla terra e, quindi, allo Zar: entrarono in crisi le Mir, le comunità di villaggio che possedevano collettivamente le terre, mentre nacque una sorta di middle class contadina; in realtà, però, le concessioni creditizie per l’acquisto di terre favorirono solo la parte dunque, non era certo visto come un amico del popolo, tant’è che, nel 1911, cadde a sua volta vittima di un attentato: non è che a quei tempi scherzassero!

Con queste premesse è ovvio che la terribile situazione causata dalla guerra del 1914, specialmente per la Russia, che subiva perdite spaventose (2.500.000 uomini) ed era assai più debole delle altre potenze in termini economici, divenne il detonatore di una bomba innescata da molto tempo.

E’ altresì vero che, senza la guerra, probabilmente, questa bomba non sarebbe mai esplosa e la Russia avrebbe vissuto una stagione di riforme progressive, più lenta, ma infinitamente meno sanguinosa di quanto poi avvenne, che, di fatto, sprofondò il Paese in una dittatura terribile, che in settant’anni causò decine di milioni di morti.

Col senno di poi, però, non si fa la storia!

Nel 1916, il monaco Rasputin, che era l’anima nera della corte zarista, venne ucciso da un gruppo di aristocratici, che vedevano in lui uno strumento del filogermanesimo strisciante della famiglia Romanov (la zarina Aleksandra era di origine tedesca), ma questo non riuscì ad arrestare il crollo della monarchia; anziché concedere riforme, Nicola II pensò bene di sospendere la Duma, accelerando il processo di aperta opposizione e di rivolta.

Del partito Kadét, espressione del moderatismo borghese e degli aristocratici liberali, abbiamo già detto; oltre a questo, c’erano i socialrivoluzionari di Kerenskij, che premevano per un socialismo basato sulla piccola proprietà terriera, i socialisti moderati detti ‘trudovichi’ (ossia "laburisti", visto che in russo ‘trud’ significa "lavoro"), i bolscevichi, votati ad un’insurrezione del proletariato delle città, ed i menscevichi, che corrispondevano, più o meno, ai socialisti riformisti di Turati.

Inutile a dirsi, tra questi i bolscevichi rappresentavano una netta minoranza…ma erano i più incazzati!

Nel marzo 1917 (febbraio, secondo il calendario giuliano), una rivolta nata nelle officine Putilov, di San Pietroburgo, diede il via ad un vero moto insurrezionale, con scioperi ed occupazioni.

Gli operai si organizzarono a difesa, creando la cosiddetta "Guardia Rossa", cui, stavolta, si unirono anche i soldati della guarnigione di San Pietroburgo, inviati a reprimere i tumulti: alla testa dell’insurrezione si pose il consiglio degli operai: rinasceva, questa volta per non sparire tanto in fretta, la figura del Soviet, che, ben presto si delineò nei suoi caratteri, assumendo la definizione di Soviet dei deputati, degli operai e dei soldati.

In tutta la Russia, o, almeno, nelle grandi città, sorsero Soviet analoghi, che cominciarono a proporsi come interlocutori principali della Duma; di qui nacque il governo Lvov, d’ispirazione liberale, che dichiarò la libertà di associazione, di pensiero e di stampa.

Lo Zar abdicò a favore del fratello, Michele, ma anche Michele dovette abdicare a favore del nuovo governo, che, intanto, aveva le sue belle gatte da pelare: i Soviet, a maggioranza socialrivoluzionaria e menscevica, anche se in maniera illegale, di fatto si proponevano come contropotere; essi sfruttavano, soprattutto, lo scarso seguito del governo Lvov, dovuto, principalmente, alla volontà di proseguire la guerra contro la Germania.

Nelle sue "tesi di aprile", Lenin, rientrato, come già detto, dalla Svizzera su di un treno tedesco, fu, invece, categorico: tutto il potere ai Soviet e fine immediata della guerra.

Mentre Lenin auspicava la dittatura del proletariato, vale a dire un’iniziativa dal basso "diretta ed immediata", nasceva il terzo governo provvisorio, guidato da Aleksandr Kerenskij, che, però, si trovava nella poco invidiabile situazione di chi è tra l’incudine del desiderio di ordine della borghesia ed il martello della rivolta popolare.

Quando il generale Kornilov marciò su San Pietroburgo per ristabilire l’ordine con una dittatura militare, Kerenskij si rivolse alla Guardia Rossa, a maggioranza bolscevica; e questo fu un grosso errore di valutazione.

Le truppe di Kornilov disertarono in massa, e Kerenskij proclamò la repubblica; ma questo non servì a salvargli la sedia.

Il 7 novembre 1917 (25 ottobre) le guardie rosse ed i disertori dell’esercito occuparono i gangli del potere, rispondendo ad un vasto piano insurrezionale preparato da Lev Trotzkij; le cannonate dell’Aurore contro il palazzo d’inverno sancirono la vittoria dei bolscevichi, e l’inizio di una tra le più strepitose dittature di tutti i tempi: in ventiquattr’ore era nata l’U.R.S.S, anche se sarebbe stata dichiarata solo nel 1922.

In realtà, nel resto della Russia e nello stesso Congresso, menscevichi e socialrivoluzionari denunciarono la cosa come un vero colpo di stato, ma, ormai, i bolscevichi erano la maggioranza parlamentare, e si affrettarono a dare tutto il potere ai soviet.

Lenin, prima che il Congresso fosse sciolto, fece approvare i tre decreti, sulla pace, sulla terra e sulle nazionalità.

Nel primo si proponeva una pace "democratica", nel secondo si confiscavano le proprietà feudale, regie e d ecclesiastiche, abolendo, di fatto la proprietà terriera, mentre nel terzo si delineava il federalismo e l’uguaglianza tra tutti gli stati dell’unione.

Nasceva il primo governo sovietico, presieduto da Lenin, con Trotzkij ministro degli esteri; Stalin faceva già parte della combriccola, e si preparava l’orticello!

La Russia usciva dalla guerra, accettando le durissime imposizioni del trattato di Brest-Litovsk; quando, però, la guerra finì, con la sconfitta degli Imperi Centrali, il trattato decadde.

Tuttavia, alcuni territori russi occupati a suo tempo dai tedeschi, si erano dichiarati indipendenti, come la Polonia, la Finlandia o le Repubbliche Baltiche: i vincitori, a Versailles, decisero di mantenere queste indipendenze, incentivandole come cuscinetto tra l’universo sconosciuto e minaccioso della Russia comunista e l’Europa liberale; e, di fatto, sancendo l’isolamento della Russia sovietica, che viveva il dramma di una guerra civilke che sarebbe durata fino al 1920.

Tra il 1918 ed il 1920, infatti, la Russia vide il feroce scontro tra l’Armata Rossa, sotto il comando del solito Trotzkij, e l’Armata Bianca controrivoluzionaria, con episodi di estrema crudeltà da una parte e dall’altra; nel luglio del 1918, per evitare la loro liberazione da parte dei ‘bianchi’ ad Ekaterinburg furono massacrati lo Zar e tutti i suoi familiari diretti.

L’Armata Bianca poteva contare sull’appoggio di truppe eterogenee, in parte formate con contingenti di ex prigionieri (come i "battaglioni neri" di ex prigionieri italo-austriaci), in parte con aliquote ceke, britanniche, giapponesi, americane e francesi.

Con la controffensiva del dicembre 1919 e la sconfitta (novembre 1920) dell’ultimo generale bianco, Wrangel, che perse la penisola di Crimea, il bolscevismo concluse vittoriosamente la guerra civile: era costata quasi 9.000.000 di morti!

Nel frattempo, anche l’Europa provava l’ebbrezza del bolscevismo, che si manifestava in una serie di tentativi rivoluzionari più o meno abborracciati, come quello degli spartachisti berlinesi (gennaio 1919), della repubblica dei consigli bavarese (novembre 1918) o della repubblica sovietica ungherese di Bela Kun (marzo 1919), destinati tutti a rapidi fallimenti.

Proprio questo fiorire di insurrezioni e di fermenti causò la proclamazione della Terza Internazionale (marzo 1919), votata allo scopo di organizzare e coordinare un’insurrezione su scala mondiale e che passò alla storia come Comintern, espressione dell’ala socialista bolscevica.

Nel 1920, il Comintern dettò le 21 condizioni necessarie per diventare membri della Terza Internazionale; tra queste, fondamentale, il cambiare nome, assumendo la denominazione di "partito comunista", legandosi a doppio filo con il partito comunista sovietico: nasceva l’idea del "partito guida" che tanto successo avrebbe raccolto anche alle nostre latitudini, nonostante le veltronate dell’ultima ora.

La "grande madre Russia" entrava in un abisso oscuro, da cui sarebbe uscita soltanto alla fine del secolo: iniziava il terrore comunista.