Alla morte di Bresnev nel 1982 l'URSS si
trovava in una situazione molto difficile: povertà diffusa, tecnologia
superata in molti campi, mancanza di un'industria di consumo, che eleva il
livello di vita di una popolazione. Anche i trasporti erano insufficienti
e male organizzati, mancavano prodotti di ogni genere e si era costituito
un diffuso mercato nero. La libertà d'opinione era fortemente limitata,
molti intellettuali stavano nei gulag o in carcere.
La politica estera
costava moltissimo perché enormi risorse erano ingoiate dagli interventi
militari in diverse parti del mondo; contemporaneamente la popolazione
mancava spesso dei generi di prima necessità. Ad aggravare la situazione
era anche la corruzione della gerarchia e della burocrazia del partito,
che insieme con le inefficienze del sistema economico, procuravano una
perdita di consensi sempre maggiore.
Intanto la politica estera faceva
contare sconfitte e cedimenti uno dopo l'altro: la lotta in Afghanistan
contro la guerriglia islamica appoggiata dagli Stati Uniti non aveva mai
termine, i rapporti con la Cina si erano guastati fino al punto da
sfociare in uno scontro militare lungo il fiume Usuri, i paesi satelliti
dell'Europa Orientale chiedevano sempre più autonomia.
In Polonia il
generale Jaruselvski non aveva fatto cessare le lotte operaie, anzi queste
avevano acquisito più forza e organizzazione grazie all'appoggio della
chiesa cattolica, che si faceva forte anche del fatto di avere un papa
polacco a Roma.
Nel 1985 fu eletto segretario del PCUS
Michail Gorbaciov, il quale, per la sua giovinezza, aveva iniziato
ad avere responsabilità politiche solo dopo la morte di
Stalin.
L'economia di piano aveva mostrato tutti i suoi limiti e le sue
conseguenze disastrose, anche a causa della corruzione dell'apparato e
delle costose scelte politiche e produttive finalizzate al mantenimento
dello status di grande potenza militare.
Gorbaciov cercò la via per
migliorare le condizioni economiche e sociali della popolazione salvando
contemporaneamente il comunismo: la sua soluzione si basava su "glasnost"
e "perestroika" (trasparenza e ristrutturazione).
La trasparenza e la ristrutturazione
sembravano essere il primo passo verso una riforma radicale dei componenti
del sistema; era come se dicesse: sostituiamo tutti i corrotti con gente
onesta e capace, diamo al popolo la possibilità di controllare le persone
che prendono le decisioni vitali, e in questo modo salviamo economia e
sistema. Infatti i principi dell'economia di piano e del sistema politico
non sono messi in discussione.
Dato l'immobilismo che durava da decenni
l'inserimento graduale di qualche elemento di libero mercato e di
democrazia dettero al mondo l'impressione di qualcosa di rivoluzionario,
ma dettero anche il segnale di un cambiamento irreversibile.
Glasnost e perestroika (trasparenza e ristrutturazione): in pratica allontanamento dei dirigenti corrotti e incapaci, elezioni a scrutinio segreto dei nuovi dirigenti, possibilità di eleggere ai posti di responsabilità anche persone non appartenenti al partito.
La nuova costituzione dell'URSS del 1987 prevedeva:
La durata delle cariche pubbliche venne limitata;
in ciascuno collegio potevano presentarsi più di un candidato;
il nuovo parlamento dell'URSS veniva costituito dal congresso dei delegati del popolo, eletti per due terzi a suffragio universale e per un terzo scelti dal partito.
Gorbaciov diede anche una maggiore economia alle aziende e concesse legittimità alla libera iniziativa in agricoltura e nella distribuzione (limitando il mercato nero). Concesse inoltre maggiore libertà al dissenso, alle chiese, agli intellettuali.
Gli ostacoli a Gorbaciov erano inevitabili: dall'interno del sistema perché in tanti perdevano privilegi consolidati da tempo, dall'esterno del partito perché si volevano cambiamenti più rapidi e radicali come l'instaurazione dell'economia di mercato e la nascita di partiti alternativi al PCUS.
I successi più clamorosi e importanti furono ottenuti in politica estera: ritiro dell'esercito sovietico dall'Afghanistan nel 1989, annunciò la sospensione unilaterale degli esperimenti nucleari e propose il disarmo internazionale.
Ronald Reagan, eletto presidente degli USA nel 1980 diede una svolta liberista all'economia: ridusse nettamente le spese in favore dei ceti più deboli, limitò gli interventi dello stato nell'economia e favorì un'accentuata libertà di mercato.
Il programma di Reagan aveva tre punti base:
1) diminuzione delle tasse;
2) riduzione delle spese per l'assistenza pubblica el'istruzione;
3) aumento delle spese militari per la costruzione di uno scudo spaziale che difendesse l'America da eventuali attacchi nucleari.
Gorbaciov sfidò Reagan sul piano del dialogo e del disarmo, Reagan raccolse la sfida.
Reagan e Gorbaciov, tra il 1985 e il 1988 si incontrarono a Reykjavik, Ginevra, Washington e Mosca: il risultato fu una forte riduzione dei missili nucleari specialmente in Europa.
Non soltanto la volontà di pace spinse
i due presidenti a iniziare un parziale disarmo, ma anche interessi
economici e politici concreti. L'opinione pubblica europea protestava con
molta decisione contro i nuovi missili americani installati in Belgio,
Olanda, Inghilterra e Germania Occidentale e Reagan non voleva creare
difficoltà agli alleati europei. Gorbaciov da parte sua, mediante il
disarmo, tendeva a due risultati importanti: dare sollievo alla dissestata
economia sovietica e ottenere l'appoggio dei paesi occidentali alle sue
riforme. Più di 2500 missili nucleari furono eliminati dall'Europa.
All’accordo sui missili europei seguirono altre proposte per la
distruzione delle armi chimiche e dei missili intercontinentali.
Ma a
Gorbaciov non bastava: ristabilì buoni rapporti con Israele e si adoperò
per la pace in Medio Oriente; tentò un riavvicinamento con la Cina,;
incontrò Giovanni Paolo II in Vaticano nel 1989 e migliorò le condizioni
delle chiese in Unione Sovietica.
Tutti gli stati satelliti dell'URSS,
tra l'89 e il 90, si resero autonomi e crearono governi democratici
seguiti a libere elezioni cui parteciparono diversi partiti. Si trattava
della fine dell'era dei blocchi. Era una svolta storica, il crollo del
bipolarismo, cioè del sistema dei blocchi che aveva segnato l’epoca della
"guerra fredda".
Come fu possibile una rivoluzione di tale portata e
senza spargimento di sangue? Le popolazioni dei paesi comunisti
dell'Europa Orientali stavano apparentemente tranquilli grazie alla paura
delle truppe del patto di Varsavia e della repressione poliziesca, ma
quando fu chiaro che l'URSS non sarebbe intervenuta, i fragili regimi
comunisti crollarono uno dietro l'altro, anche perché erano tutti
economicamente arretrati e forte era la speranza in tutti di un livello di
vita più alto, simile ai modelli occidentali.
Il colpo di stato del generale Jaruzelski, filosovietico, non aveva fatto smettere le manifestazioni antiregime, le quali si raccoglievano attorno al sindacato Solidarnos, guidato da Lech Walesa, e si facevano forti dell'appoggio del papa polacco Giovanni Paolo II. Il 1988 fu un anno decisivo: il paese fu scosso da moltissimi scioperi e fu sull'orlo della guerra civile. Gorbaciov intervenne su Jaruzelski consigliandogli un accordo per libere elezioni che avrebbero visto la partecipazione di diversi partiti, tra cui Solidarnos (costituitosi in forza politica), ma avrebbero lasciato comunque al partito comunista la maggioranza dei deputati in parlamento. La vittoria elettorale di Solidarnos fu però di tali proporzioni che il cambiamento appariva irreversibile: nel 1991 Walesa fu eletto capo dello stato e il regime comunista finì.
In Ungheria, Cecoslovacchia e Bulgaria il passaggio dal regime comunista a quello democratico fu ancora più pacifico.
In Ungheria il POSU Partito operaio socialista ungherese, si era già aperto a riforme economiche e aveva cambiato la classe dirigente: nel 1989 fece passare una nuova Costituzione che prevedeva più partiti. Nel 1990 le elezioni furono vinte dal raggruppamento di partiti di ispirazione cristiana, il Forum democratico, guidato da Jozsef Antalì.
Anche in Cecoslovacchia il passaggio alla democrazia fu naturale: imponenti manifestazioni di massa dall’agosto al novembre 1989 portarono a radicali trasformazioni nelle istituzioni.
Alexander Dubcek, leader della "primavera di Praga", divenne capo della assemblea legislativa; Vaclaw Havel, che aveva guidato il movimento di opposizione Forum civico, ottenne la presidenza della Repubblica federale ceca. Nel 1993 la Slovacchia si costituì in repubblica autonoma, staccandosi dalla Repubblica ceca, formata da Boemia e Moravia. Le successive elezioni confermarono il ruolo ormai non più dominante del Partito comunista in entrambi gli Stati.
In Bulgaria invece i dirigenti comunisti guidarono il processo di cambiamento, anche se spinti dalla pressione popolare.
Stabilirono elezioni libere che nel 1990 confermarono al potere l’ex Partito comunista, ma in un quadro politico non più di regime e secondo garanzie volute da una nuova
In Romania il passaggio di regime fu invece travagliato e violento. Qui Nicolae Ceaucescu governava in modo autoritario e dispotico, proclamandosi Conducator, condottiero, della nazione e promuovendo una politica autonoma da Mosca: nel 1968 non era intervenuto a Praga, ora criticava le riforme di Gorbaciov. Voleva apparire come il difensore degli interessi nazionali rumeni, ma in realtà governava reprimendo spietatamente ogni forma di opposizione.
La popolazione viveva in una diffusa povertà e priva di libertà. Alle rivolte di alcune città desiderose di riforme economiche e politiche il dittatore rispose con l’esercito provocando centinaia di morti. Nel dicembre 1989 la protesta si estese alla capitale Bucarest e parte dell’esercito solidarizzò con la popolazione. La guerra civile in Romania vide da una parte il Fronte di salvezza nazionale, formato da ex comunisti, militari e oppositori del regime, dall’altra i fedelissimi di Ceausescu e la polizia segreta. Il breve ma sanguinano conflitto si concluse con l’esecuzione sommaria di Ceausescu e con libere elezioni che segnarono la vittoria del Fronte.
L'episodio più importante, anche dal punto di vista simbolico, fu la riunificazione delle due Germanie. Nel 1989 l'Ungheria permise il libero passaggio verso l'Austria, aprendo un varco attraverso il quale si rovesciarono milioni di cittadini dela Germania Est verso la Germania dell'Ovest. Il governo comunista tedesco non era in grado di opporsi e si trovò a dover affrontare manifestazioni di massa a Lipsia, Dresda e Berlino. Nel novembre del 1989 fu lasciato libero transito ai tedeschi dell'est che volevano varcare il confine con la Germania Ovest, il muro fu rapidamente abbattuto. La Germania Ovest, sotto la guida del democristiano Helmut Kohol spingeva verso l'unificazione. Fu firmato un trattato di unione economica, furono abbattute le frontiere tra i due stati tedeschi, nell'ottobre del 1990 si giunse infine alla riunificazione politica con il consenso di URSS, Francia, Inghilterra e USA. E' caduto anche il segno fisico della cortina di ferro e della guerra fredda.
Le riforme di Gorbaciov avevano anche lo scopo di far sopravvivere l'Unione Sovietica, ma le spinte liberalizzatrici creavano aspettative di libertà ed autonomia anche nelle repubbliche dello stato federale sovietico. L'Unione Sovietica era un mosaico complesso di nazioni ed etnie difficili da tenere insieme, ma sottomesse, fino ad allora dalla forza del partito comunista.
Anche se Gorbaciov non intendeva rinunciare al partito unico, già con le elezioni del 1989 si manifestarono tendenze a promuovere la nascita di nuovi partiti; ma la nascita del pluralismo avrebbe avuto come conseguenza inevitabile la fine del controllo di Mosca sugli stati dell'Unione.
Nel febbraio 1990 l’URSS divenne una Repubblica presidenziale e Gorbaciov, già segretario del Partito, venne eletto presidente nel marzo 1990. Ma fu la sua ultima vittoria perché lo Stato sovietico era ormai disgregato.
I paesi baltici costituirono formazioni politiche non comuniste e cercarono di ottenere l'indipendenza. Nel Caucaso le forti rivalità religiose ed etniche tra l'Armenia cristiana e l'Arzebaigian musulmano degenerarono in eccidi delle minoranze armene in Azerbaigian e azere in Armenia. Le stragi terminarono grazie all'intervento dell'Armata Rossa.
Gli stati sovietici dell'Asia Centrale, di religione musulmana, risentivano delle forti spinte autonomiste provenienti dal vicino mondo islamico.
Tante diversità politiche, etniche,
religiose portarono al collasso dell'Unione Sovietica e alla caduta di
Gorbaciov.
La politica di Gorbaciov mirava a salvare l’Unione Sovietica
sia riducendo le spese insostenibili che gravavano sulla sua economia sia
concedendo una maggior democrazia al paese. In realtà ciò non fu
possibile: quell’enorme Stato, composto da nazioni diverse, con interessi
divergenti, era sempre stato tenuto unito con la forza e la repressione,
senza concedere spazio alle libere scelte dei cittadini. Così avevano
agito nell’Ottocento gli zar di Russia, e poi il regime comunista
sovietico di Lenin, di Stalin e dei loro successori. La possibilità concessa da Gorbaciov
di costituire liberamente partiti politici e sindacati e di tenere libere
elezioni fece immediatamente rinascere, nelle quindici repubbliche che
costituivano l’Unione Sovietica, il desiderio di indipendenza o di
autonomia per tanto tempo soffocato. Prime a dichiararsi indipendenti
furono le tre repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia, Lituania). D’altra
parte, la politica di Gorbacev sollevò fortissime opposizioni nella
vecchia classe dirigente, che vedeva così messa in pericolo l’esistenza
stessa dello Stato sovietico.
Nell'agosto del 91 i conservatori, legati al vecchio partito comunista e guidati da alcuni generali dell'esercito, tentarono un colpo di stato e arrestarono lo stesso Gorbaciov. Grazie alla ferma opposizione dela popolazione guidata da Boris Jeltzin, il principale rappresentante delle nuove forze politiche emergenti.
Il fallimento del colpo di Stato fece precipitare rapidamente la situazione:
il partito comunista fu dichiarato illegale e le repubbliche che formavano l’Unione Sovietica si proclamarono, una dopo l’altra, indipendenti.