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ALBERTO SORDI, IL NEOREALISMO E LA COMMEDIA ALL’ITALIANA

 

Tra il 1945 e il 1960  nasceva e moriva in Italia l'importante fenomeno del neorealismo; la guerra e la sconfitta, in pratica, avevano posto grossi limiti materiali e ideologici alla produzione cinematografica italiana: gran parte degli studi erano distrutti e non si potevano girare scene ricostruite, dato che mancavano fondi per realizzare film così come si faceva negli anni precedenti la guerra. D' altra parte mancavano persino gli attori: non si potevano, certamente, impiegare molti degli attori usati dal cinema fascista che richiamavano eroi della passata propaganda.

I giovani registi usciti dalla guerra partecipavano, sia pure anche involontariamente, ad un movimento di rinnovamento della società italiana di quegli anni; il loro impegno era il contatto diretto, quasi documentario, con la realtà: il bisogno della verità dopo le mistificazioni e la retorica del regime.

I films del  nascente neorealismo italiano si contraddistinguono, dunque, per una forte carica realista, oltre che per   un uso di attori non professionisti, ed anche per la presa diretta del paesaggio esterno delle città e delle campagne. Nelle trame dei films ora si guarda non più alle storie individuali e medio-borghesi, ma a vicende collettive; insomma, si filma tutto quel mondo di cui il fascismo non aveva ammesso l'esistenza: la povera gente, la prostituzione, i suicidi, il mondo reale del duro lavoro quotidiano.

Anche dal punto di vista linguistico, riappaiono insieme alla realtà, i dialetti che il nazionalismo fascista aveva bollato come “ distruttori dell’unita’ nazionale “. Nei maggiori films del neorealismo italico, appare, pertanto, il plurilinguismo: si pensi al tedesco, italiano, inglese, e dialetti locali presenti nei capolavori di Rossellini (" Roma città aperta ", " Paisà "), De Sica & Zavattini (" Sciuscià ", " Ladri di biciclette "), Visconti (" La terra trema "). Il dialetto, per la prima volta nella storia del cinema italiano, viene, in pratica, assunto allo stesso livello dell'italiano e delle altre lingue.

Questa soluzione  linguistica del neorealismo non reggerà, comunque, a lungo, infrangendosi, com’era prevedibile, sullo scoglio della standardizzazione seriale del cinema industriale.

Il neorealismo, sostanzialmente, finì con l’inizio degli anni '60: con la standardizzazione,cioè, della produzione filmica. Nato per il convergere di eventi storici e pratici del tutto particolari - le speranze e il contatto con la realtà derivate dalla guerra civile e dalla lotta anti-fascista, la penuria di studi cinematografici (da cui l'uso delle riprese in strada e in presa diretta) e di mezzi e capitali per pagare attori professionisti ecc. -, il cinema neorealista italiano fu poco apprezzato in quegli anni in Italia, decisamente osteggiato da una classe politica che si avviava alla restaurazione clerico-democristiana: " I panni sporchi si lavano in famiglia " fu, cioè, il commento indicativo di un giovane politico destinato a rappresentare la classe politica democristiana nei quarant'anni successivi ( Giulio Andreotti ).

Già alla fine degli anni '50 il neorealismo intanto virava verso la commedia ( di cui sarà regista tipico Mario Monicelli ). Le rinate case di produzione italiane, in pratica, non finanziavano più il cinema ' impegnato ': si avviava, come ripeto, la produzione consumistica di massa.  La commedia all' italiana ( la definizione è in quegli anni spregiativa ) riuscirà tuttavia a trasmettere attraverso l'ironia e la buffoneria aspetti della società italiana degli anni '50 e '60 di derivazione ' realista '. Molti degli autori della commedia all'italiana erano stati infatti autori del neorealismo, riadattati per esigenze di mercato ma senza perdere il loro ' tocco ' particolare e caratteristico.

Se, poi, tra gli anni '50 e  '60 dominerà il fenomeno commerciale della commedia all'italiana, nei migliori film di questo filone si annovererà spesso la regia di Mario Monicelli, e le esilaranti interpretazioni di Alberto Sordi. Ed in tutto ciò si rifletteva una intera società, quella italiana, delimitata tra straccioneria, velleità piccolo-borghesi e pressapochismo ingenuo confinante con il qualunquismo.

Sono questi documenti sociologici ma anche brandelli di realtà in cui il malessere sociale passa attraverso il mezzo della satira sociale. La caratteristica principale della commedia all'italiana sta appunto nella costante attenzione ai temi più attuali della vita sociale. La commedia diventa, così, una sorta di osservatorio del "carattere degli italiani", del quale fornisce una versione ambiguamente sospesa tra satira e celebrazione.

La vitalità della commedia all'italiana sta nella sua capacità di ripercorrere le tappe della storia nazionale, più o meno recente. Per esempio, La grande guerra (1959) di Mario Monicelli e Tutti a casa (1961) di Luigi Comencini sfruttano appieno le possibilità che il registro comico fornisce per una rivisitazione spregiudicata e non retorica di momenti cruciali del passato. Il film di Monicelli sulla prima guerra mondiale è interpretato da Alberto Sordi e da Vittorio Gassman nei ruoli, rispettivamente, di un romano "trafficone" e di un milanese "lavativo", che diventano loro malgrado "eroi" dopo aver cercato di sfuggire in tutti i modi ai disagi del fronte. Esso mostra l'altra faccia di un evento raccontato solitamente secondo gli schemi della retorica patriottica e utilizza i moduli della commedia per evidenziare la disumanità della guerra.

Nel film Una vita difficile (1961) di Dino Risi troviamo ancora Alberto Sordi nel ruolo di un intellettuale squattrinato alle prese con i problemi del dopoguerra e della ricostruzione, una volta caduta la tensione ideale della Resistenza.

Ma il punto di forza della commedia all’italiana, oltre all'indubbia capacità di ripercorrere le fasi salienti della storia recente, sta nella sua forte presa sulla realtà contemporanea: soprattutto negli anni del cosiddetto boom economico ( primi anni sessanta ), la commedia ci offre un quadro disincantato delle rapide trasformazioni delle condizioni di vita degli italiani, sottolineando le componenti di cinismo e di disinvoltura morale che caratterizzano la tumultuosa corsa al benessere economico.

Alla base, dunque, della fortuna della commedia all’italiana nel suo periodo d'oro sta una perfetta sintonia tra registi ( Monicelli, Risi, Comencini, Germi ai quali si aggiungono poi Scola e Lina Wermüller ), un'agguerrita pattuglia di sceneggiatori (tra cui primeggiano Age e Scarpelli, Rodolfo Sonego) e soprattutto finanziatori-produttori; a tutto ciò si aggiungeva un  inimitabile gruppo di attori quali Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Nino Manfredi, Giancarlo Giannini (a questi va aggiunta Monica Vitti.

Solo sul finire degli anni settanta, in concomitanza con gli anni cupi del terrorismo, ma anche della caduta di miti di illimitate capacità di recupero, la commedia all'italiana si incupirà e mostrerà i segni di un inaridimento irreversibile, come se i suoi moduli espressivi fossero divenuti ormai incapaci di cogliere i nuovi fermenti e le nuove prospettive:  ancor oggi si rimpiangono, fra i cineasti italiani, gli anni d’oro della commedia all’italiana, senza per altro nessun erede all’orizzonte.

 

ALBERTO SORDI: LA MASCHERA IRONICA DELLA COMICITA’ ITALIANA

 

L’indimenticabile Alberatone, come tutti sanno,  ha lavorato con i più grandi registi e sceneggiatori italiani del secondo dopoguerra, ma non è a loro che deve la sua grandezza: ma a sé quale " autore di se stesso ".

Gli inizi della carriera cinematografica di Sordi sono negli anni ’50, in cui interpreta ben 54 film che concorsero via via alla maturazione del personaggio, che, in quell’epoca di eroi positivi, si presentava, invece, al negativo, senza sentimenti o tratti amabili, senza audacia e giustificazioni storiche. Il senso unidirezionale degli atteggiamenti, sgradevoli e antipatici, vili, del vitellone, dell’imbroglione da strapazzo, del seduttore, che contravvieniva alle regole note del cinema comico, lasciò per alcuni anni il pubblico incerto e freddo, appunto perché in esso non trovava identificazione.

Il personaggio Sordi comincia così a modificarsi e a crescere, nel senso di allargare il contesto dei suoi difetti, non più attribuibili solo al carattere individuale, ma alla natura umana, alla situazione storico-sociale, e di affiancarvi qualche pregio, e specie un fondo di bontà naturale e di umanità, che intervengono nei momenti cruciali a riscattare in parte la negatività. È questo il personaggio che il pubblico impara ad amare e in cui si identifica.

Esso dominerà nei film della commedia degli anni ’60 e ’70, connotata di una comicità dai risvolti amari, di un cinismo misto a sentimento, di una miscela di elementi umoristici e drammatici. E continuerà fino alla fine degli anni ’90, seguendo i cambiamenti culturali via via ravvicinati, e dandoci nei film, sempre più radi e deboli, alcune figure che preludono al degrado e ai "mostri" che si vedono frequenti agli inizi di questo nostro millennio.

Pur considerandosi lui stesso principalmente un comico, Sordi aveva una particolarità che finiva per collocarlo su un piano ulteriore: la straordinaria duttilità della sua maschera facciale, capace di trasformarsi in brevissimo tempo dalle tonalità comiche a quelle tragiche. Il volto di Sordi era la maschera di una deriva esistenziale indossata con consapevole autoironia e la sfacciataggine di chi sa di non avere niente da perdere; di chi sa benissimo di essere condannato a far ridere anche quando vorrebbe gridare al mondo il suo disagio, e non vede alternative davanti a sé, se non il rifugio nel cinismo più spietato. Alberto Sordi era questo: un cinico per scelta ma non per vocazione.

 La straordinaria umanità del suo volto traspariva, poi,  anche dai suoi personaggi più riprovevoli o caricaturali; se ne accorse per primo Federico Fellini: e i personaggi cuciti addosso al giovane Sordi sia ne Lo sceicco bianco che ne I vitelloni, costituisce già un paradigma del registro  sul quale l’attore si sintonizzerà lungo tutto l’arco della propria carriera. In pratica, la vigliaccheria, l’opportunismo, l’endemica fragilità malcelata dietro un apparente disincanto, il sottile moralismo trapelano a mo’ di monito da ogni espressione di Sordi: guardate, ecco cosa stiamo diventando !!!   

Quella di Alberatone non è stata, dunque, tanto la storia di un italiano-tipo, ma piuttosto la parabola di un uomo capace di indossare tutti i " tipi " dell’italiano del Ventesimo Secolo. Senza slanci eroici, senza velleità divistiche di adesione a modelli comportamentali tutto sommato gradevoli, Sordi ha perseguito, lungo tutto l’arco della sua carriera, l’intento di svelare al mondo, con una sorta di malcelato compiacimento narcisistico alla rovescia, l’anima meschina e antieroica dell’uomo, il suo naturale egoismo, la sua ontologica vocazione alla sottomissione del più debole e alla genuflessione di fronte al più forte.

Anche quando prenderà di petto una delle istituzioni sacre della società patriarcale italiana, quale il matrimonio ( Il seduttore – diretto da Franco Rossi – Lo scapolo – di Antonio Pietrangeli – Il marito – di Nanni Loy e Gianni Puccini – e Il vedovo – di Dino Risi ), la maschera di Sordi non farà altro che ribadire la sua inadeguatezza ai ruoli sociali precostituiti, e al tempo stesso lo scacco e il rimpianto derivati da tale mancata adesione.
Sordi non cerca mai, pertanto, l’aderenza al ruolo impostogli dal copione, quanto piuttosto accetta la sfida e si confronta con esso: e la comicità scaturisce proprio dell’esito di tale sfida.

In una parola, per Sordi il volto è la maschera e viceversa; e questo non per ricercate raffinatezze da accademia d’arte drammatica, bensì per una necessità di affermare il proprio Io rispetto all’alter-ego proposto dalla finzione cinematografica.

Riassumendo, Sordi è  quasi sempre stato  essenzialmente Sordi: è sempre stata la sua maschera a vampirizzare il racconto, mai viceversa. Questo è stato forse il grande pregio del Sordi-attore, ma anche il suo grande limite. Quando ha trovato registi in grado di magnificare la sua sublime neutralità, la sua capacità di assorbire qualunque ruolo e qualunque parte all’interno della mappa del suo volto, Sordi è stato irresistibile. Altre volte è stata solo la sua maschera ad uscire vincitrice, mentre i riferimenti alla società dell’epoca divenivano unicamente il pretesto per una serie di gags più o meno funzionali all’esaltazione dell’emblema attoriale di cui Sordi si faceva portavoce…….ma, come solitamente si afferma….nessuno è perfetto !!!!!