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Se, poi, tra
gli anni '50 e '60 dominerà il fenomeno
commerciale della commedia all'italiana, nei migliori film di questo filone
si annovererà spesso la regia di Mario Monicelli, e le esilaranti
interpretazioni di Alberto Sordi. Ed in tutto ciò si rifletteva una intera
società, quella italiana, delimitata tra straccioneria, velleità
piccolo-borghesi e pressapochismo ingenuo confinante con il qualunquismo.
Sono questi
documenti sociologici ma anche brandelli di realtà in cui il malessere sociale
passa attraverso il mezzo della satira sociale. La caratteristica principale
della commedia all'italiana sta appunto nella costante attenzione ai temi più
attuali della vita sociale. La commedia diventa, così, una sorta di
osservatorio del "carattere degli italiani", del quale fornisce una
versione ambiguamente sospesa tra satira e celebrazione.
La vitalità
della commedia all'italiana sta nella sua capacità di ripercorrere le tappe
della storia nazionale, più o meno recente. Per esempio, La grande guerra
(1959) di Mario Monicelli e Tutti a casa (1961) di Luigi Comencini
sfruttano appieno le possibilità che il registro comico fornisce per una
rivisitazione spregiudicata e non retorica di momenti cruciali del passato. Il
film di Monicelli sulla prima guerra mondiale è interpretato da Alberto Sordi e
da Vittorio Gassman nei ruoli, rispettivamente, di un romano
"trafficone" e di un milanese "lavativo", che diventano
loro malgrado "eroi" dopo aver cercato di sfuggire in tutti i modi ai
disagi del fronte. Esso mostra l'altra faccia di un evento raccontato
solitamente secondo gli schemi della retorica patriottica e utilizza i moduli
della commedia per evidenziare la disumanità della guerra.
Nel film Una
vita difficile (1961) di Dino Risi troviamo ancora Alberto Sordi nel ruolo
di un intellettuale squattrinato alle prese con i problemi del dopoguerra e
della ricostruzione, una volta caduta la tensione ideale della Resistenza.
Ma il punto di
forza della commedia all’italiana, oltre all'indubbia capacità di ripercorrere
le fasi salienti della storia recente, sta nella sua forte presa sulla realtà
contemporanea: soprattutto negli anni del cosiddetto boom economico ( primi
anni sessanta ), la commedia ci offre un quadro disincantato delle rapide
trasformazioni delle condizioni di vita degli italiani, sottolineando le
componenti di cinismo e di disinvoltura morale che caratterizzano la tumultuosa
corsa al benessere economico.
Alla base,
dunque, della fortuna della commedia all’italiana nel suo periodo d'oro sta una
perfetta sintonia tra registi ( Monicelli, Risi, Comencini, Germi ai quali si
aggiungono poi Scola e Lina Wermüller ), un'agguerrita pattuglia di
sceneggiatori (tra cui primeggiano Age e Scarpelli, Rodolfo Sonego) e
soprattutto finanziatori-produttori; a tutto ciò si aggiungeva un inimitabile gruppo di attori quali Alberto
Sordi, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Nino Manfredi, Giancarlo Giannini (a
questi va aggiunta Monica Vitti.
Solo sul finire
degli anni settanta, in concomitanza con gli anni cupi del terrorismo, ma anche
della caduta di miti di illimitate capacità di recupero, la commedia
all'italiana si incupirà e mostrerà i segni di un inaridimento irreversibile,
come se i suoi moduli espressivi fossero divenuti ormai incapaci di cogliere i
nuovi fermenti e le nuove prospettive:
ancor oggi si rimpiangono, fra i cineasti italiani, gli anni d’oro della
commedia all’italiana, senza per altro nessun erede all’orizzonte.
ALBERTO SORDI: LA MASCHERA IRONICA DELLA COMICITA’ ITALIANA
L’indimenticabile
Alberatone, come tutti sanno, ha lavorato con i più grandi registi e sceneggiatori
italiani del secondo dopoguerra, ma non è a loro che deve la sua grandezza: ma
a sé quale " autore di se stesso ".
Gli inizi della
carriera cinematografica di Sordi sono negli anni ’50, in cui interpreta ben 54
film che concorsero via via alla maturazione del personaggio, che, in
quell’epoca di eroi positivi, si presentava, invece, al negativo, senza
sentimenti o tratti amabili, senza audacia e giustificazioni storiche. Il senso
unidirezionale degli atteggiamenti, sgradevoli e antipatici, vili, del
vitellone, dell’imbroglione da strapazzo, del seduttore, che contravvieniva
alle regole note del cinema comico, lasciò per alcuni anni il pubblico incerto
e freddo, appunto perché in esso non trovava identificazione.
Il personaggio
Sordi comincia così a modificarsi e a crescere, nel senso di allargare il
contesto dei suoi difetti, non più attribuibili solo al carattere individuale,
ma alla natura umana, alla situazione storico-sociale, e di affiancarvi qualche
pregio, e specie un fondo di bontà naturale e di umanità, che intervengono nei
momenti cruciali a riscattare in parte la negatività. È questo il personaggio
che il pubblico impara ad amare e in cui si identifica.
Esso dominerà nei
film della commedia degli anni ’60 e ’70, connotata di una comicità dai
risvolti amari, di un cinismo misto a sentimento, di una miscela di elementi
umoristici e drammatici. E continuerà fino alla fine degli anni ’90, seguendo i
cambiamenti culturali via via ravvicinati, e dandoci nei film, sempre più radi
e deboli, alcune figure che preludono al degrado e ai "mostri" che si
vedono frequenti agli inizi di questo nostro millennio.
Pur considerandosi lui stesso
principalmente un comico, Sordi aveva una particolarità che finiva per
collocarlo su un piano ulteriore: la straordinaria duttilità della sua maschera
facciale, capace di trasformarsi in brevissimo tempo dalle tonalità comiche a
quelle tragiche. Il volto di Sordi era la maschera di una deriva esistenziale
indossata con consapevole autoironia e la sfacciataggine di chi sa di non avere
niente da perdere; di chi sa benissimo di essere condannato a far ridere anche
quando vorrebbe gridare al mondo il suo disagio, e non vede alternative davanti
a sé, se non il rifugio nel cinismo più spietato. Alberto Sordi era questo: un
cinico per scelta ma non per vocazione.
La straordinaria umanità del suo volto traspariva, poi, anche dai suoi personaggi più riprovevoli o
caricaturali; se ne accorse per primo Federico Fellini: e i personaggi cuciti
addosso al giovane Sordi sia ne Lo sceicco bianco che ne I
vitelloni, costituisce già un paradigma del registro sul quale l’attore si sintonizzerà lungo
tutto l’arco della propria carriera. In pratica, la vigliaccheria,
l’opportunismo, l’endemica fragilità malcelata dietro un apparente disincanto,
il sottile moralismo trapelano a mo’ di monito da ogni espressione di Sordi:
guardate, ecco cosa stiamo diventando !!!
Quella di Alberatone non è stata, dunque,
tanto la storia di un italiano-tipo, ma piuttosto la parabola di un uomo capace
di indossare tutti i " tipi " dell’italiano del Ventesimo Secolo.
Senza slanci eroici, senza velleità divistiche di adesione a modelli
comportamentali tutto sommato gradevoli, Sordi ha perseguito, lungo tutto
l’arco della sua carriera, l’intento di svelare al mondo, con una sorta di
malcelato compiacimento narcisistico alla rovescia, l’anima meschina e
antieroica dell’uomo, il suo naturale egoismo, la sua ontologica vocazione alla
sottomissione del più debole e alla genuflessione di fronte al più forte.
Anche quando prenderà di petto una delle
istituzioni sacre della società patriarcale italiana, quale il matrimonio ( Il
seduttore – diretto da Franco Rossi – Lo scapolo – di Antonio
Pietrangeli – Il marito – di Nanni Loy e Gianni Puccini – e Il
vedovo – di Dino Risi ), la maschera di Sordi non farà altro che ribadire
la sua inadeguatezza ai ruoli sociali precostituiti, e al tempo stesso lo
scacco e il rimpianto derivati da tale mancata adesione.
Sordi non cerca mai, pertanto, l’aderenza al ruolo impostogli dal copione,
quanto piuttosto accetta la sfida e si confronta con esso: e la comicità
scaturisce proprio dell’esito di tale sfida.
In una parola, per Sordi il volto è la
maschera e viceversa; e questo non per ricercate raffinatezze da accademia
d’arte drammatica, bensì per una necessità di affermare il proprio Io rispetto
all’alter-ego proposto dalla finzione cinematografica.
Riassumendo, Sordi è quasi sempre stato essenzialmente Sordi: è sempre stata la sua maschera a
vampirizzare il racconto, mai viceversa. Questo è stato forse il grande pregio
del Sordi-attore, ma anche il suo grande limite. Quando ha trovato registi in
grado di magnificare la sua sublime neutralità, la sua capacità di assorbire
qualunque ruolo e qualunque parte all’interno della mappa del suo volto, Sordi
è stato irresistibile. Altre volte è stata solo la sua maschera ad uscire
vincitrice, mentre i riferimenti alla società dell’epoca divenivano unicamente
il pretesto per una serie di gags più o meno funzionali all’esaltazione dell’emblema
attoriale di cui Sordi si faceva portavoce…….ma, come solitamente si
afferma….nessuno è perfetto !!!!!