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L’IMMAGINE CRUDA DI UN’AMERICA ANNI ‘50/’60
ATTRAVERSO LE FOTO DI UNA DONNA COMUNE
CON LA PASSIONE DELLA FOTOGRAFIA
VIVIAN MAIER
IL FASCINO DELL’ARTISTA DISCRETO
IL FASCINO DELLA FOTO IN BIANCO & NERO
Della Maier donna si sono scoperte diverse cose, grazie alle serratissime indagini di Maloof. Ciò che non sfugge guardando il film è che lei fosse una collezionatrice seriale e compulsiva, arrivando a conservare qualunque cosa possibile e inimmaginabile: dai quotidiani, che impilava in colonne così pesanti da arrivare a far sprofondare pavimenti di legno, ai biglietti del tram, dai ninnoli alle ricevute dei negozi. Non aveva alcun legame con la sua famiglia originaria, non ebbe mai figli né si sposò. Nutriva una smisurata avversione verso gli uomini in generale, e alcune informazioni sul suo conto lascerebbero intendere che possa esserci stata una presunta violenza subita, fisica e sessuale, all’origine di questo suo atteggiamento ostile.
Schiva, riservata, sola, decise di dedicarsi tutta la vita alla sua professione di tata, svolgendola senza alcuna ambizione, né celata né apparente, nascondendo come meglio poteva la sua grande passione per la fotografia, che le avrebbe conferito invece un ruolo di maggior prestigio (nonché una consistente serenità economica, della quale non godeva particolarmente) se solo avesse pensato di renderla nota al mondo.
Morì nel 2007, pochi giorni prima il rinvenimento da parte di Maloof del suo prezioso materiale. Alcune delle signore che la tennero a servizio, decisero di farla cremare e di cospargere le sue ceneri nel parco dove abitualmente portava i bambini il pomeriggio.
In seguito alla scoperta di John Maloof, le foto di Vivian Maier sono state esposte in diversi posti nel mondo, riscuotendo il doveroso successo. Ma ci si chiede, se questo è ciò che la Maier avrebbe desiderato. La risposta più plausibile è ovviamente no, non è difficile supporlo. Eppure ci si sente davvero incapaci di non sovvertire le regole tacite stabilite con tanta esattezza dall’autrice. Tenere nascosta al mondo una tale dimostrazione di capacità, sapienza, delicatezza, generosità e spirito d’osservazione sarebbe stata una crudeltà. Lascia riflettere quanto lei si bastasse da sé, di quanto fosse per lei indispensabile condurre una vita apparentemente anonima e vuota e coltivare nel silenzio delle sue riflessioni una passione così dirompente. I suoi frequenti autoscatti mi danno l’idea di una donna consapevole, di una donna che vuole farci sapere di sé quanto basta, nulla di più, di un pudore smisurato per queste sue straordinarie creature, tanto da non pensare minimamente all’idea di esporle al pubblico o anche solo parlarne. È una donna forte, compiuta. Contrariamente a quanto si immagini, Vivian Maier non ha bisogno del riscontro altrui per riconoscersi, non saprebbe davvero cosa significhi il desiderio che oggi condividiamo tutti di ricevere più like possibili su una nostra foto pubblicata sul web. A lei tutto ciò non serviva. A beffa di un atteggiamento e di uno stile di vita che potevano relegarla in un ruolo al margine, lei era invece assolutamente al di sopra e piena, colma di sé, di quel "sé" pulito che nulla vuole prevaricare sull’altro ma che tenta piuttosto di condurre la propria esistenza seguendo un iter suo, sdoganandosi da un prestampato imposto e per tutti uguale. Vivian guardava. Si guardava, certo, ma prevalentemente guardava, osservava al di fuori di ciò che era lei. E documentava tutto, fino all’ultimo dettaglio, di continuo.
Insomma, non si tratta della solita storia dell’artista geniale e sfortunato che, nonostante gli sforzi, non riesce a vedere riconosciuto il proprio merito in vita. Sembra che per lei fare fotografie e riprendere la realtà fosse un bisogno primario, qualcosa a cui non avrebbe potuto rinunciare, come l’accumulare compulsivamente oggetti e giornali. Non era il suo lavoro, era la sua ossessione, il suo modo di reagire alla vita. Non ha mai realmente cercato di diventare famosa. Non è diventata bambinaia perché ha fallito come fotografa, ha scelto questo lavoro perché le dava la libertà di condurre la vita che desiderava con il minimo sforzo, come spiega una ragazza che l’aveva avuta come tata:
"Si dovrebbe supporre che Vivian fosse frustrata, no? Insomma, era una bambinaia. Non è considerata una posizione elevata nella vita. Non aveva un marito, una vita sociale di cui parlare. Non aveva uno status a cui la gente aspira, ma non doveva nemmeno scendere a compromessi. Faceva quello che voleva, questo è quello che ci ha insegnato."
La storia di Vivian Maier è una storia controversa, incompleta, paradossale. Mancano degli elementi del puzzle, probabilmente scomparsi per sempre con lei. Quello che di certo ha lasciato sono i suoi scatti, che, come lei, sembrano racchiudere la complessità e le contraddizioni dell’esistenza.